sabato 10 dicembre 2016

un problema legato all'età

Ieri sera abbiamo visto il secondo episodio della prima stagione di Black Mirror, la fiction inglese. Subito mi è venuto in mente Quinto Potere di Sidney Lumet, anche se la linea temporale è ribaltata.
Non mi è piaciuto molto, sono stato colto da una sensazione di deja vu, come se avessi già visto tutto lo svolgersi degli eventi. Una riflessione evidente sul potere dei desideri che ci vengono imposti e sui nostri sforzi per soddisfarli, quali che siano. Semplice, ma forse perfetta per chi oggi per la prima volta si pone tali domande.

Mi tornava alla memoria Videodrome di David Cronenberg e le sue riflessioni sulla realtà e sui cambiamenti, realmente fisici, che si generano nel nostro cervello e nel nostro corpo ormai assuefatto allo schermo televisivo.

Ma rieccheggiavano anche gli echi de L'uomo dei giochi a premio, il racconto di Richard Bachman (a.k.a. Stephen King) e de La lunga marcia, sempre dello stesso autore. In un'America devastata da una crisi lunghissima per sopravvivere è necessario mettersi letteralmente in gioco.

Onore al merito di una regia e di un interpretazione ottima; le fiction inglesi da sempre mi sembrano più convincenti di quelle americane. 

Queste idee e teorie sono state elaborate negli anni settanta, scritte e spiegate da sociologi e filosofi, da intellettuali al di sopra del dubbio, cristalline ed evidenti. Eppure nulla siamo riusciti a mettere in opera, sembriamo muoverci inconsapevoli e sordi, mossi solo da desideri irrefrenabili. Più ancora mi colpisce che chiunque ormai le condivide, sono dunque un patrimonio condiviso ma per nulla applicato. Sono diventate il fastidioso ronzio di sottofondo. 

"...va bene per un quindicenne..." dico alzandomi stancamente dal divano.

"Allora non ti è piaciuta perché sei vecchio?" risponde la mia dolce metà.


sabato 17 settembre 2016

Sul Perché

Come si resta incollati ad una musica, una canzone, senza più poterne uscire fuori. Un cupola che che ci isola da tutto, l'unico desiderio è di riascoltarla "ad libitum".
Non ho mai inteso come fosse possibile, non per le note che verranno a noia né per il testo che molto spesso  rivelerà semplice ed ingenuo.
Eppure in quel momento, che presto diverrà un fluire continuo, niente vi è di più simile alla nostra vita. Un concentrato di sensazioni, di emozioni, di paure, di follie e persino di normalità che fuoriescono dalla nostra "camera oscura" per andarsi a concentrare, un punto infinitesimo di pensieri a densità infinita, in quei pochi minuti.
E subito alla fine veniamo presi dall'ansia. Bisogna colmare un vuoto, uditivo più che emotivo ma forse il tutto si sovrappone.


Allora medito. 
I Bauhaus già nel nome mi evocano emozioni potenti. Un suono strascicato, lento, indeciso che avvolge un insieme di parole non troppo complesse.

"Houston, abbiamo un problema". Immediatamente Tom Hanks si affaccia nel mio cervello, ma sono gli anni ottanta e la luna è già distante, le utopie architettonice fallite e rimangono solo i decadenti scantinati berlinesi dove loro suonavano, avvolti dal fumo malsano di molteplici sigarette.

Vivrò più a lungo (e pioverà come argutamente mi fece notare Woody Allen) ma lo ricordo con affetto.

E qualche conclusione infine riesco ad agguantarla, ma la tengo per me...

martedì 2 agosto 2016

chiudo gli occhi solo un momento

Ci sono i conti, le fatture, l'INPS, il viaggio da preparare, Mario che incombe, il caldo, e sono sempre in ritardo. Su tutto. Scendo dal letto e le prima parole che pronuncio, a mè medesimo la casa è vuota, sono "lo farò domani". La strada è talmente vuota, un riflesso reale dell'assenza totale di volontà.
Allora chiudo gli occhi e metto un pò di musica: scelgo di non preoccuparmi.

mercoledì 11 maggio 2016

comunque bisogna fare attenzione

Le radiazioni mi hanno sempre interessato. L'idea di un killer silenzioso ed invisibile in grado di agire a dispetto di ogni tipo di barriera o precauzione mi affascina. Inoltre una serie piuttosto lunga di fumetti giapponesi mi ha sicuramente formato e deformato in tal senso. Non solo loro, ho comunque vissuto l'ultima parte della guerra fredda e l'italica paura del nucleare. Ricordo con affetto uno splendido racconto di Isaac Asimov, sicuramente un uomo la cui fede nel progresso era cristallina, che avrebbe potuto essere usato da chiunque come un perfetto manifesto anti-nuclearista (il titolo in italiano era "Razza di deficenti").

Così non ho esitat un attimo nel vedere "Chernobyl diaries"  
http://www.imdb.com/title/tt1991245/ , che ho trovato assai meno insipido di quel che pensavo.

Poi qualche giorno fa mi imbatto in questo articolo: http://www.spiegel.de/international/world/tourism-is-booming-in-the-chernobyl-exclusion-zone-a-1089210.html

Ohibò è tutto vero! Il turismo delle catastrofi non è certamente cosa nuova e le radiazioni nemmeno. Pure ne sono rimasto colpito. Perchè?
Non lo so, ciò è il motivo di queste mie parole. 

Dopo qualche altro giorno, vagando distratto per la rete in cerca di "qualcosa", complice un articolo in una rivista di fotografia (http://www.rearviewmirror.it/ [ora non attivo ma segnatelo]) scovo questo fotografo http://donaldweber.com/ .
Ma ben sul serio?! Non stiamo parlando di liriche fotografie prese nella "zona di esclusione" ma della vita, vera mica fandonie, di chi ancora ha deciso o ha dovuto restare a vivere in quei luoghi. Di più, esiste anche una sorta di piccolo paradiso radioattivo (blandamente immgino) dove rilassarsi e pescare. 
E un assurdo pensiero, del quale forse dovrei vergognarmi, appare con costanza nella mia mente. Esisteranno dei fumetti ucraini ove l'influenza radioattiva sia chiara e percepibile? 
Chiaramente voglio viaggiare in Ucraina.

mercoledì 4 maggio 2016

si va in pezzi ed in scena

Stavo scrivendo un nuovo post ma poi qua l'atmosfera è del tutto cambiata e le macchie che allignano nlla vecchia vetrina che l'allegro socio mi ha portato in dono stentano a distaccarsene. Inoltre stasera, dopo la chiusura, mi recherò ad una festa per la chiusura di una storica libreria. Che poi è un pò come celebrare con gudio la dipartita di un caro parente, un qualcosa che andrebbe sempre fatto.
La mefitica capitale marcisce un pezzo dopo l'altro.

http://www.invitoallalettura.com/

Comunque ecco quello che avevo prodotto:

"...La tecnica consiste nel condividere. La condivisione è stata ed è alla base di ogni esperienza umana. Ora si è elevata al rango di tecnica sopraffina spogliandola finalmente dell'inutile requisito dell'arte. Mai troppo e men che meno troppo poco, bisogna condividere pur senza divenire tediosi o scomparire nell'oblio. E' finalmente la giusta ricompensa, essere gli uni vicini agli altri senza l'orpello inutile dei corpi. Senza lo sguardo indagatore, le domande che balenano nello spazio tra due volti, senza il silenzio che attende ed esige una risposta. Ora posso, ed ara quello che cercavo, di essere come sono, di mostrarmi alle moltitudini, vero e onesto nella parzialità di una foto tagliuzzata in mille coriandoli. 

E così me ne sto immobile, ascoltando musica triste, una parola semplice ed esatta per definire alcune melodie..."

Ma la musica innanzitutto!

martedì 26 aprile 2016

palazzi nuovi per vecchie strategie

Torno a scrivere dopo una lunga pausa. Una breve premessa: sono affascinato, per misteriosi motivi, dall'architettura delle periferie urbane, che visito e fotografo quando posso.
Dunque ieri, approfittando della bella giornata, siamo usciti e ci siamo diretti verso una zona poco distante dal mio luogo di lavoro. Palazzi e palazzine, nuovi e ancora puliti e decorosi, sorti come funghi in mezzo a quelli che fino ad una decina di anni fa erano campi incolti. Tutto sembra organizzato ma un poco alla volta si capisce che qualche cosa è andato storto.

Perché le aree verdi, prati muniti di illuminazione e panchine sono ancora recintati? Perchè mai poi dovrebbero essere recintati e inaccessibili se il loro scopo è quello di offrire ristoro ad un luogo dove poter chiaccherare? Mancano strade e collegamenti ed una chiara linea di demarcazione separa tipologie diverse di edifici, chiaramente tutti costruiti in blocchi ma in varie epoche.
Una gran parte, si potrebbe affermare tutta, della periferia romana è stata costruita senza alcun piano regolatore, senza servizi, semplicemente edificando gli edifici uno accanto all'altro per fare profitto e gonfiare i bilanci. Sento ripetere questa considerazione dalla fine degli anni 80', in riferimento a quanto era stato fatto nei venti o trenta anni precedenti. Cosa è cambiato? A me pare assolutamente nulla.

Queste mie considerazioni sono ovviamente evidenti, scontate e anche un poco noiose ma ieri, nel mezzo di un'area di recente costruzione ed ancora, lo ripeto, pulita e apparentemente ordinata sono rimasto veramente attonito e sorpreso.